Ma chi è Livio Rosignano? Un pittore triestino, mi risponderete; ma lui non ama definirsi così e chi meglio di lui può tracciare la propria identità? Perciò lascio che sia Livio a parlarne: “Non mi sento un pittore triestino, non ho niente a che fare con i pittori triestini. L’arte è di tutti, però vivendo principalmente a Trieste, mi sono ispirato a quello che mi circonda e che mi ha trasmesso emozioni”. Così mi aveva risposto durante una chiacchierata.Ora ripercorriamo brevemente la sua vita. Rosignano nasce a Sovignacco di Pinguente il 20 novembre del 1924, da Eugenio Rosignano e Amalia Zigante Vitolovich.Fin da piccolo Livio dimostra la sua passione per il disegno che è nata osservando il padre intento a scrivere: “Sento ancora, nel silenzio della notte, lo sfregolìo del suo pennino, che di tanto in tanto attingeva nella minuscola boccettina d’inchiostro azzurro. Spesso sostava con una mano sul mento e guardava lontano. Io ero lì (della mia presenza non pareva neanche accorgersi), e non mi rendevo conto di cosa volessero dire quegli stacchi dalla carta e quel soffermarsi a lungo dei suoi begli occhi intensi e sempre accesi da una luce tutta interiore, attenti a qualcosa che io non potevo vedere. Incominciava a vergare le carte della sua bella grafia, chiara, ordinata, in diagonale. Seguivo il fluire armonioso della penna e me ne innamorai. Cosicché anch’io cominciai a prendere della carta bianca e a scarabocchiarci qualche parola: ero bambino e la mia non era ancora calligrafia, erano segni, tentativi si scrittura. Una parola scritta male poteva concludersi con un ghirigoro, che a sua volta diventava uno sgorbio, una macchia, una cosa deforme.Fu così, praticamente, che cominciai a dipingere, proprio perché non ero capace di scrivere, e così che incominciai ad amare la carta, la matita, la penna”.Purtroppo una doppia polmonite lo costringe a cambiare la sua vita di bambino e perciò si dedica, sempre di più, al disegno e alla pittura, copiando immagini da riviste. Anche il cinema diventa uno degli interessi del giovane Livio, che passa molto tempo a guardare i film. Il pittore ricorda: “troppo bello starsene in quel mondo ovattato, sognare, e quasi delegare un attore, un personaggio, a vivere in tua vece, sentimenti e situazioni ineffabili.” Rosignano si interessa sempre di più dell’acquarello e ha la fortuna di incontrare il pittore Giovanni Giordani, un uomo semplice a cui sta a cuore una vita schietta, nella perfetta serenità dello spirito – così lo definisce Livio – che gli dà ottimi consigli. Purtroppo la guerra è imminente e gli incontri con il Giordani si interrompono. Dopo il fatidico 8 settembre del 1943 Livio deve scegliere: arruolarsi come militare oppure diventare un lavoratore dell’Organizzazione Todt; sceglie di appartenere ai servizi del lavoro. Ed è proprio ora che inizia un periodo bruttissimo, buio, pieno di sofferenze, ma che alla fine lascia spazio ad un raggio di sole che, pian piano, esce dalle nuvole per riscaldare il volto di molte persone: la libertà. Livio viene mandato in un Lager, un campo di lavoro, disumano. Ed è proprio lì che affiorano i pensieri più neri, più tristi: “Furono stati d’animo e giorni confusi, con tante emozioni che mi stordirono. Ma la realtà finì per imporsi: ben presto m’accorsi che contava assai più una gamella di cavoli di tutti i nobili sdegni.” Ora sembra strano pensare che soltanto settant’anni fa succedeva ciò, appare impossibile, invece era quello che accadeva e l’unica cosa da fare era sopportare e cercare di “vivere”…“Il campo dove lavoravamo, in mezzo al bosco, tra gli alberi, alti come non ne avevo mai visti (abeti e larici), era vastissimo; e in quello spazio eravamo migliaia, uno appresso all’altro. […] In mille a non sapere lo scopo di tutto quel febbrile lavorìo.” Dopo un lungo periodo Livio viene spostato in un altro campo di lavoro che: “Benché il freddo fosse intenso (si era in pieno inverno) e la tanta neve ci procurasse più disagio di quanto era lecito attendersi (la conoscevamo bene, oramai), a confronto del primo questo posto di lavoro ci parve quasi una villeggiatura.” L’unico modo per restate in contatto con i propri cari è quello di scrivere, scrivere delle lettere, che non sempre arrivano; ma come si suol dire: la speranza è l’ultima a morire. Ed ecco che si ricevono notizie dai propri famigliari: “Bada di essere accorto in ogni evenienza. La strada di ritorno potrà essere dura e pericolosa; bisognerà aguzzare l’ingegno e mettere in azione l’energia dei tuoi vent’anni; e speriamo che la sorte e la fortuna ti assistano. Tuo papà.”Finalmente il raggio di sole, la “libertà” è arrivata e così Rosignano torna nella sua Trieste: “Mi guardai attorno, appena superata la barriera color mattone della Pescheria. Sulle rive, sui, moli, sulle finestre chiuse, c’era silenzio da città morta. Mi sentivo incollato al selciato. A stento mossi i primi passi. […] La guardai a lungo, quella mia città, per riconoscerla. Ed era come se guardassi una sposa che da tempo non si rivede, e vorresti ritrovarla come la ricordavi nella lontananza, quasi non perdonandole di essere diversa. Il tuo cuore ha serbato un’immagine che le cose e il tempo (e che tempo!) hanno mutato, e non le perdoni allora la piega sotto gli occhi, un’ombra strana che non conoscevi.Poi il sentimento d’amore ha il sopravvento: sentii l’impeto di abbracciarla, di stringerla, di parlarle con la voce della sua stessa anima. Successe così. E corsi nelle sue braccia.”
Sopravvissuto a questa brutta esperienza Livio, tornato a Trieste, inizia a frequentare presso il Civico Museo Revoltellla, delle lezioni di storia dell’arte tenute da Silvio Rutteri e lezioni di nudo, tenute da Carlo Sbisà. Comincia a partecipare ad ogni evento cittadino e nel frattempo dipinge. Trieste, purtroppo, perde il suo fascino e gli stimoli per un pittore non ci sono più, quindi Rosignano decide di trasferirsi a Milano, ma non riesce a stare troppo tempo lontano dalla sua città e così vi ci ritorna.
Tornato a Trieste incontra il pittore Adolfo Levier, un pittore cui premeva cogliere l’essenziale. Non concedeva bellurie. Deciso e violento – ha detto Rosignano. Successivamente conosce Bergagna, un pittore che andava a caccia di forme e colori, sempre, in ogni occasione, perché era uno di quelli che lavorano anche quando non dipingono. E dipingeva per amore della pittura – così lo ricorda Livio. Bergagna, che condivide lo studio con Rossini, un poeta umanissimo, dopo la sua morte, propone a Rosignano di occupare la stanza dell’amico perduto: Livio accetta. Rosignano tuttora dipinge e espone i suoi quadri.icuramente, ciò che emerge dalla tela fa parte dell’artista, della sua storia, delle sue esperienze e, in parte, ciò traspare dai dipinti di Livio; dipinti carichi di energia, dalle pennellate decise, impetuose, violente, un po’ espressionistiche, dai colori forti ed accesi; le figure dai volti depressi, stanchi, spariscono nei nebbiosi locali. Ma anche nei dipinti più nebbiosi c’è un tocco di rosso, che esalta i caratteri dell’opera. Da una pittura a carattere espressionista, Livio è passato ad uno stile più realistico; pur sempre mantenendo quella componente malinconica, enigmatica che affascina e inquieta nello stesso momento. Non si possono non ricordare i toni caldi, soffusi e le atmosfere senza tempo dei Caffè triestini, come il San Marco o le sferzate violente della Bora che sembrano concretizzarsi ed avvolgere l’osservatore. Ma, l’elemento fondamentale e persistente, nei lavori di Rosignano, è l’emozione; emozione che fa parlare il cuore e tacere la mente, che coinvolge chi osserva e lo trasporta in un universo parallelo, dove lui è il protagonista; soggetto di situazioni, vite di tutti i giorni che, a volte, non si colgono, ma che riappaiono nei dipinti. Quindi tra la tela e la vita si crea una sorta di continuità, che solo gli animi sensibili possono cogliere.
Ringrazio sentitamente Livio Rosignano per tutto ciò che mi ha trasmesso attraverso i suoi quadri e attraverso le sue parole. Ho avuto l’occasione, e la fortuna, di poter parlare con lui e di conoscerlo un po’ meglio: è una persona che, nonostante le difficoltà della vita, riesce sempre a infondere una grande forza, un grande coraggio, l’amore per la vita, e passione per tutto quello che fa; in particolar modo per il suo lavoro. Un giorno mi disse una frase, che mi colpì molto e che non scorderò mai: “Non bisogna avere paura di osare però bisogna essere sempre coerenti e semplici”.