1976 – Dal saggio di Roberto Damiani

A cinquant’anni serba nella pittura la stessa fede che animava Slataper nelle “lettere” vociane e nelle favole delicatissime per “La Riviera Ligure”, rinnova la castità intelligente e caustica di Saba, si da restituire alla tela atmosfere sciolte da lacci manieristici; per il mondo degli umili e dei derelitti mostra la stessa attenzione che fece dell’aristocratico Giotti uno tra gli interpreti più duri del terzo stato e della terza età. Archetipi mai pittorici. Rosignano gestisce la politica del dissenso – dalle formule, dalla Trieste che s’è detta, dalla civiltà dei consumi dal conformismo spettacolare delle arti di regime – senza l’empito e il furore dei distruttori d’idolo, semplicemente. E non ne ha. Dalle lettere dei caduti della resistenza ho tratto un grande insegnamento: loro si richiamavano alla realtà, non a mere astrazioni. Il sentimento

esalta e indirizza questo rispetto filologico per la prassi. Proprio così, lo chiama Rosignano. Sentimento. E dovrebbe dire intuito, capacità di porsi con solidità d’impegno maturo di fronte al dramma dell’esistenza, proposito testardo di sviscerare quella “verità del tutto” che è nelle singole cose”. Il linguaggio di Rosignano si eleva così a linguaggio autonomo e inconfondibile. Lo studio meticoloso del soggetto, la preparazione del bozzetto, la scelta meditata dei colori sono il primo atto di un processo che si definisce in costanti specialissime: la molteplicità degli strati per guadagnare l’impasto ultimo, l’equilibrio dei toni, la verifica del risultato d’insieme…Rosignano è moderno senza concedere nulla alle mode. Ricco di scrupoli professionali avulsi dalle leggi del mercato, piuttosto che sconvolgere e rovesciare la realtà fenomenica preferisce scorciarla da prospettive personalissime a brani, squarci, momenti che sono le tessere di un segreto da svelare giorno per giorno. E restituisce dignità al lavoro con la sapiente officina attraverso cui si propone di essere sulla tela quanto più umano possibile. “La rivoluzione è in noi: l’uomo è pittura e la pittura è libertà “, egli sostiene. Ed ecco, nella trama solida della sua coerenza, affiorare la malinconia eterna dello sradicato, l’umorismo del poeta, l’ironia schiva dello spirito solitario. Non è certo una città idealizzata. Simile a Francis Bacon, Rosignano “sublima ma non idealizza” e deforma, radicalizza, scava a fondo per assimilare nel discorso pittorico il senso intimo del reale che decade, si guasta e si dissolve. Coscienza di una crisi, la sua : non mito…Alle fantasie imbelli Rosignano oppone la crudezza nuda delle scelte operate; all’evasiva psichica inerzia nel mito il gesto che la vita ghermisce a brandelli straziati, con affetto disordinato e caldo. E’ la città che ha sostituito nella sua poetica i giovanili slanci carsici, ideale filo della memoria con lontanissimi ritratti, schizzati a penna, poco più che ragazzo, nelle corsie di un ospedale. E sono tram affollati di massaie stanche, proletari con allegorici fardelli, altri di spettrali stazioni, operai distrutti dalla fatica, donne sformate, barboni inebetiti e dilaniati dal vizio. Un angolo di bohéme sposato al chiasso caotico e inelegante della porta orientale, questa Trieste: un monumento alla grandeur sbrecciatosi anzitempo nel microscopio che ne aggrandisce le miserie e le bestemmie al cielo con voce roca e stonata. Il borgo teresiano, la periferia grigia, l’eco della zona industriale, fermentano negli equilibri, nello spirito, nella filigrana della costruzione pittorica e deflagrano cupamente in strutture da fotogramma. Impietose eppur mosse dalla pietà: discorsive eppur trasfigurate nella rappresentazione di una solitudine che Rosignano intuisce e sospetta universale. Umili e oppressi entrano a buon diritto in questo mondo torbido che, alla maniera di Degas, ribolle infine di umanità vinta ed esala l’odore forte dell’assenzio. Senza storture populiste. Perché Rosignano il dramma della Trieste attuale (e non è la Trieste ufficiale, scanzonata e superficiale, allegra e disinvolta, pasticciona e simpatica, ove sotterrare gli ultimi impulsi nostri alla ribellione) vive soffre e rispetta, legandolo alla sua pittura con placche dure di critica solidarietà….Se non si stabilisce come principio che non si può, per il più bel verso di una letteratura, falsare inconsciamente o no la propria visione, e fare di uno specchio un giudice o un terribile iddio, per uno in un certo senso più bello, cento saranno di cattiva lega, e il risultato complessivo la morte della personalità “(Saba)Questo programma di Livio Rosignano e la sua pittura “onesta” rispettano da sempre i suoi smaniati, screziati riflettono figure dai tratti incerti, maculati, corrosi: metafore di un sistema che è il diaframma solido, per dirla con Sartre, tra esistenza ed essenza. Difensore inflessibile dell’arte libera, Rosignano custodisce gelosamente l’eredità dell’autentica nostra cultura. E’ il poeta di Trieste. L’ultimo , forse.

Roberto Damiani

Roberto Damiani …..Rosignano è oggi l’autentico poeta di Trieste. L’artista roccioso e delicato che ne rileva la vicenda storica, ne registra i complessi meccanismi sociali, ne rappresenta ed emblematizza la condizione mentale. Non è certo una città idealizzata. Simile a Francio Bacon, Rosignano “ sublima ma non idealizza “: e deforma, radicalizza, scava a fondo per assimilare nel discorso pittorico il senso intimo del reale che decade, si guasta e si dissolve. Coscienza di una crisi, la sua; non mito. Dal volumetto .”Per Livio Rosignano”- Trieste, novembre 1966