Il coraggio di Rosignano – La Voce giuliana 1979

C’era tanta gente la sera del 14 gennaio nella galleria di Palazzo Costanzi per l’apertura della mostra di pittura di Livio Rosignano: persone importanti nel campo della vita politica e dell’arte, altre meno importanti ma tutte egualmente interessate e partecipi. In mezzo a quella piccola folla Livio Rosignano appariva visibilmente commosso. “qui intorno potete vedere ciò che ho dipinto in questi ultimi anni” disse pressa poco, a commento e risposta degli indirizzi di plauso e di saluto che gli erano stati rivolti. In circostanze del genere, premuti come si è dai visitatori, poco si riesce a vedere. E poi i quadri vanno osservati a lungo, “assimilati” per così dire. Allora alla mostra ci sono tornato altre due volte e mi rincresce che non ci fosse stato l’amico Livio; mi sarebbe piaciuto, come accade, quando vado a trovarlo nel suo studio, sentire dalla viva voce dell’artista un commento alle opere. Ci sono artisti molto bravi, assai capaci ed abili e conoscitori smaliziatissimi di tutte le risorse del mestiere che però non interpretano niente o quasi. Se ne stanno li accanto alle loro spesso stupende realizzazioni ma non ci comunicano se non il nitore affascinante (il che è già molto e talvolta moltissimo) di quelle loro meravigliose opere, prive però di anima. Rosignano interpreta invece il tempo in cui viviamo, o almeno una parte non indifferente di esso, e interpreta noi, o almeno molti di noi. Insomma Rosignano non si barrica nel magnifico isolamento, nella torre eburnea dalla quale guardare gli altri dall’alto. Egli se ne va per le strade, fra la gente e ne dà una versione di ottima qualità pittorica (alla cui base sta anche un magistero grafico) e di grande intensità poetica. Mi sembra che il pittore abbia, tutto sommato, il “coraggio” di dialogare con l’uomo e non con astratte figurazioni o cabale coloristiche (alle quali è facile prestare poi titoli polivalenti): così noi, povera gente, ci riconosciamo nei suoi quadri che ci piacciono – s’intende – perché sono il risultato di un accurato, onesto, tenace lavoro illuminato dalla sensibilità dell’animo e dalla partecipazione ai dolori e alle miserie dell’uomo. Il critico Corrado Marsan, che ha scritto, per catalogo, una penetrante introduzione (ricca di citazioni), ha detto, presentando l’artista all’apertura della mostra, che i personaggi, le situazioni presenti nei quadri non sono esclusivamente “triestini” ma acquistano rilevanza universale, il che è evidente quando la sostanza poetica è autentica. D’altronde io penso che sia anche bello riguardare quei personaggi e quelle situazioni come “nostri” in modo particolare, appunto perché da qualche modo uscire migliori. Rosignano – almeno per quanto ne so – è uno che si è fatto una sua filosofia della vita. E’, a suo modo, un moralista. Qualche volta scrive quello che pensa. Anche per questo ci vuole coraggio. Molti – come è noto – brontolano e criticano senza costruire niente. Livio no, è sulla barricata. Vive e si tormenta e la purificazione la raggiunge su quelle tele, frutto di raffinata elaborazione. Fra i quadri, presenti alla mostra, penso che ci siano veramente dei capolavori in senso assoluto. Peccato che non sia stata unita pure una sezione dedicata alla grafica che, anche in senso didascalico, avrebbe offerto utili termini di valutazione.

15 luglio 1983

I visitatori di questa mostra avranno occasione di accostarsi soprattutto alla grafica di Livio Rosignano ed è un’occasione importante perché il disegno per il nostro artista è un po’ una forma di “pensiero”, qualcosa che lo accompagna costantemente fin da quando era ragazzo: il modo di captare e annotare la realtà e anche ciò che sta al di là della realtà medesima, i sentimenti, le paure, le gioie dell’uomo.. Lo ha scritto egli stesso: “…Appartengo al numero di quei pittori che hanno bisogno di “interiorizzare” una realtà attraverso un’accanita ripetizione grafica, in cui il discorso disegnativi, di volta in volta, diventa esercizio di linea tratteggiata, giuoco di macchia, di ombre, ghiribizzo, scrittura… Ma soprattutto diario appassionato, testimonianza rapida, fulminea, di una persona, di una folla, di una società se vogliamo, còlta nei suoi momenti più dissimulati. Mi piace frugare, curiosare in taluni atteggiamenti, che aiutano a capire più di qualsiasi “posa addomesticata”. Per me il disegno è il contrappunto decisivo della produzione di un artista”. Ma bisogna aggiungere che questa indagine, questa ricognizione del reale è assolta con un senso ben vivo, e spesso dolente, di umanità, secondo modi che sono comuni, pur mutando lo strumento, alle opere pittoriche, così lungamente elaborate e sondate nella finissima materia cromatica. Rosignano è uomo che ama parlare della sua pittura ed è privilegio poter ascoltarlo, nel suo studio, mentre “dialoga”, per così dire, con la tela che ha davanti, motivandone le partenze, gli esiti (mai troppo definitivi), le ragioni tecniche. Mi ha colpito una sua frase, in un incontro recente: “La gente – mi ha detto Rosignano – dovrebbe amare ” un pittore per quello che è in grado di fare, di dire”. Che cosa significa? Che l’artista non vuol essere un valore estraneo, un nome da catalogo ma – nell’ovvio riconoscimento dei suoi meriti (se ci sono) – un compagno, forse il migliore compagno, della gente; una guida, gentile, forte e sensibile per conoscere, giustificare, anche respingere, se è necessario, il mondo in cui viviamo. Forse non è da tutti gli artisti porsi in questa condizione, che accomuna valori estetici e morali: certo Rosignano ha tutte le carte in regola per farlo.

Rinaldo Derossi.