Pulsa forte il cuore di Rosignano

Stiamo andando bene. Alla Comunale, dopo Brumatti, Livio Rosignano.

Una personale di ottimo livello.

Venticinque opere, la maggior parte recentissime. Siamo in presenza di una nuova fase della pittura di Rosignano. La concitazione coloristica e compositiva di un tempo è trapassata. Chi ricorda la collettiva dei “cinque”, l’anno scorso, nella sala dell’istituto germanico, può avere ancora presente un Rosignano già allora incline a quel passo che oggi risulta completato. Intendiamoci: è un passo avanti. Tutto ciò che mette l’artista più in armonia con se stesso, che rende la sua opera più congrua a quello che egli sente, è un progresso. Anzi questo, a mio parere, è il solo progresso di cui si possa parlare in arte. Il progresso della modernità, o delle mode, non è sempre progresso, ossia sviluppo, arricchimento. Più spesso, al contrario, essendo niente altro che imitazione, calco, sovrapposizione a freddo di formule e di schemi, il presunto progresso nel senso della modernità è vero e proprio decadimento. Se si vuole, anche un atto reazionario. Vediamo, per esempio, i seguaci che Vedova si appresta ad esibire in una grande mostra che certamente solleverà gran clamore tra i critici e i mercanti senza scrupoli; sarà un avvenimento del mondo artistico impegnato a vender fumo. E quello per l’appunto, è passatismo irrimediabile, fossilizzazione in un paradigma dentro al quale ormai non c’è che il nulla.

Oppure un’eco di vecchie polemiche. La solita senilità dell’avanguardia.

Invece con Rosignano abbiamo la sensazione di aria che circola, di cuore che pulsa, di pensiero che si muove. Io trovo qui ( nella povertà dei miei riferimenti filologici ) qualche richiamo a tele di Fontanesi, di Delle ani, e poi di Fattori e magari anche di Rosai. Paesaggi di sole e di nebbia, periferie ferroviarie, viti, Carso, strade deserte e battute dal vento. Simpatia per la natura come nella grande pittura italiana dell’800, che ora stanno riscoprendo e rivalutando, anche monetariamente. E poi il filtro di una memoria impregnata sottilmente di malinconia. Rosignano sa bene di dover pagare uno scotto piuttosto caro questa sua propensione per un discorso pacato e smorzato. Troppi altri urlano e lanciano gridi alla Tartan anche quando, artisticamente parlando, hanno il fisico di un riformato alla leva. La sua pittura, per emergere, avrebbe bisogno di un confronto serio, meditato, giusto. E si sa quanto sia difficile ottenere queste condizioni. Ma il nostro pittore non deve rassegnarsi. Deve rendersi conto – ed effettivamente lo fa – che la parte più interna della sua saletta oggi è degna di una annotazione non labile nella cronistoria della pittura triestina.

Licio Burlini.