Milano, settembre 1972

E’ da più di vent’anni che Livio Rosignano va raccontando in termini rigorosamente pittorici la vicenda più segreta e più vera della sua città, della sua piccola patria. E’ una città che la complessa struttura etnica, le dolorose vicende storiche, la singolarità dei costumi e la straordinaria fioritura letteraria hanno reso, nel corso dell’ultimo secolo, affascinante, quasi mitica, certamente unica nell’area della grande cultura europea.

Per le conoscenze più avvertite e sensibili Trieste è un emblema di civiltà, il simbolo di un particolarissimo atteggiamento morale, psicologico, sentimentale, intellettuale sul discrimine fra illusionismo e romanticismo, fra un pragmatismo alla buona ed un irrazionalismo al limite dell’esoterismo, della magia. La “Triestinità” continua a essere – ma per quanto tempo ancora? – una condizione esistenziale del tutto autonoma e irripetibile: ne sono vivente testimonianza non soltanto una serie di personaggi più o meno stravaganti ed atipici, sì anche interi gruppi sociali, nell’arco che va dall’ambito più popolare a quello della media e alta e ricca borghesia, i cui caratteristici moduli temperamentali e mentali sembrano rimanere tetragoni alle ingerenze estranee che ora vi si infiltrano da ogni parte ed in modo sempre più massiccio.

Questa breve premessa, per dir così,”socioculturale” non deve sembrare incongrua in apertura a un tentativo di approssimazione critica all’opera di un pittore qual è Livio Rosignano: osservare i suoi dipinti senza tener conto delle radici umane e geografiche dalle quali muovono e che profondamente li determinano, significherebbe trascurare la parte poeticamente più qualificante, anche se i valori estetici e la pregnanza morale ne risulterebbero ugualmente assai degni e importanti (sarebbe un po’ come accostarsi, che so?, agli “orrori della guerra” di Goya senza porre mente ai luoghi ed alle vicende che li hanno generati).

Il più grande pericolo di intendere ed esercitare la pittura come una galleria di ritratti e una rappresentazione di ambienti è indubbiamente quello di far scadere il mezzo espressivo nella illustratività o nella letteriarietà. Va detto subito che da tale insidia Rosignano si è ampiamente salvato fin dalle sue prime prove artistiche; e si è salvato in un modo che oggi appare quantomai interessante dal punto di vista culturale: anticipando cioè di non pochi anni certe soluzioni linguistiche

baconiane e, in genere, neofigurative.

L’impianto, la struttura, il giuoco luministico dei primi “personaggi” di Rosignano, dei suoi primi “caffè” e “osterie” e interni diversi, erano determinati dalla volontà di coglierne l’intima essenza,la qualità precipua, vorrei dire la verità lirica, rarefacendo al massimo, quasi elidendo, gli elementi esternamente definitori della loro realtà, della loro apparenza. Questa predeterminazione poetica consentiva all’artista assai rare accensioni cromatiche e ancor più rare precisazioni segniche: dal che una pittura totalmente molto bassa, cupa, in apparenza un poco sfatta, dalla quale le immagini emergevano appena, in un mondo larvale, quasi fantasmi dal nebbioso buio della memoria e del ripensamento sentimentale.

Con il voler del tempo Rosignano ha progressivamente affinato e arricchito i propri mezzi espressivi accentuando, in una sua lunga stagione, la ricerca propriamente pittorica: le nature morte ed i paesaggi esposti in una personale milanese di qualche anno fa denunciavano una preziosa sperimentazione della materia cromatica e delle strutture compositive, degli spazi e della luce, comprovando il felice raggiungimento di una chiarezza e di un rigore della visione davvero esemplari.Le opere che compongono la presente mostra riprendono e portano avanti la consueta tematica del pittore triestino esponendo con bella evidenza le conquiste e la maturazione del suo linguaggio: così che i personaggi emblematici ed i luoghi deputati della piccola patria di Livio Rosignano sembrano aver perduto ogni traccia, ogni sospetto di caratterizzazione limitativa per assurgere a una universalità estetica e morale che, nelle componenti della loro irremeabile solitudine, della loro tristezza, della loro rassegnata dignità esistenziale, si pongono come uno struggente documento della nostra attuale condizione umana. Ed è un documento, quello offerto da Rosignano, tragico, amaro, patetico fin che si vuole, ma certamente sofferto ed autentico, illuminato dalla pur sempre consolante luce della poesia.

                                                        Luciano Budigna


…Sul filo della memoria e degli affetti il discorso è andato lontano dal suo primo

obbiettivo: che era quello di testimoniare una piena adesione al lavoro pittorico che Livio Rosignano va svolgendo da alcuni anni a questa parte avendo infine trovato , dopo le burrascose , violente esperienze emozionali e stilistiche della giovinezza , l’ “ubi  consistam “ della sua vocazione artistica.

In questi paesaggi dell’altopiano carsico , in queste figure ( e si vedano lo stupendo “ nudo “ , i dolenti , virili personaggi della sua “ commedia umana”) soprattutto negli interni dei caffè , appunto , e delle osterie , la vigile attenzione  che Rosignano ha prestato alle più serie lezioni dell’avanguardia europea vale a riscattare su un piano di perfetta contemporaneità  di linguaggio certi spontanei , istintivi recuperi di un’alta dignità ottocentesca ( puntualmente funzionali , del resto , adeguatissimi al mondo morale  e affettivo che dà avvio all’espressione pittorica ).

Con queste sue opere Livio Rosignano viene così a inserirsi con bella autorità nell’esiguo gruppo di artisti che hanno superato l’ “ impasse “ di una pittura di pura qualità nella giusta direzione di una ricerca di più cordiali valori poetici.

 

Luciano Budigna.

Presentazione mostra personale Galleria Montenapoleone – Milano, aprile 1964