Spero di avere ancora un po’ di tempo per poter riflettere  alle tante sciocchezze che ho combinato nella ormai mia lunga vita. Stamattina mi sono svegliato di buon’ora con questo bizzarro  pensiero, che, una volta in strada ha continuato, mentre aspettavo il primo autobus. Per raggiungere la mia soffitta c’è da fare ancora un po’ di strada, che a quest’ora di scarso traffico e di silenzio, mi permette di sentire perfino l’onda quieta contro il molo

.Esulta il nuovo giorno che a poco a poco rischiara ogni minimo dettaglio, ed io sono ancora qui, dopo sessant’anni, pronto a ricominciare un’altra giornata di lavoro, a calpestare queste pietre, tanti passi e tanti giorni uno dietro all’altro; ed è come fosse ieri, invece sono successe tante di quelle cose… Ma per quanto riguarda la pittura, il mio lavoro di pittore, è accaduto ben poco. Ci si illude, quando si è giovinetti, di compiere, in tutti i sensi, chissà quali rivoluzioni, ma si tratta casomai di modeste evoluzioni.

E’ difficile afferrare il senso del tempo, e davvero a volte mi sento ridicolamente giovane più di quanto lo fossi stato a vent’anni. Tuttavia, esiste nel “sottofondo” del mio animo, una voce amica che sussurra: “smettila, dove vuoi andare, che vuoi fare, calmati!”. D’accordo,però ci sono ancora tante cose da concludere e i programmi non danno tregua. Anzi si complicano e moltiplicano. Dovrei essere frenetico, invece mi sorprendo stranamente senza alcun affanno; stato d’animo del tutto nuovo per me! E il giorno mi pare più ricco, denso di avvenimenti: sono diventato paziente e apprezzo come non mai le piccole cose che mi vedo d’intorno, m’accorgo che le mie curiosità hanno cambiato indirizzo ed è come se lo sguardo si fosse allargato. Un  inciampo imprevisto per la strada, una sosta estenuante allo sportello di un ufficio, non mi infastidiscono più di tanto: resto là in tranquilla attesa, e intanto osservo l’infinito spettacolo della tanta gente indaffarata, lieta, nevrotica, triste, intuisco i loro problemi. E mi pare di poter  perforare l’intimità più profonda di un individuo.

Ma sono pittore e il giusto rapporto tonale di un vestito con un golfino o un fazzoletto vezzoso al collo di una giovane donna, mi mette voglia di dipingere. E non è una bugia se affermo che i pittori vivono principalmente con gli occhi e non smettono mai di “lavorare.”Che non passi giorno senza una linea, ammonivano i vecchi maestri !

Naturalmente arrivano momenti di crisi e allora mi prendo il lusso di una serata tirata tardi, perfino strampalata, come pensavo di non poter più replicare. Queste brevi licenze che paiono preordinate, obbediscono invece a impulsi improvvisi quanto misteriosi, che generano incentivi ma anche malinconie. Del resto, ho protratto più che ho potuto la mia giovinezza, la gioia di vivere, aiutato da tanti amici e persone care, superando situazioni difficili che la vita ci propone ogni giorno.

C’è sempre tanto da fare: adesso, per esempio, preparo una ennesima mostra personale, e sono impegnato a cercare le cornici adatte nonché il cronista o critico o poeta che mi gratifichi con due parole di presentazione. Da moltissimi anni è consuetudine accompagnare una mostra, anche modesta, con eleganti pieghevoli, se non addirittura con ponderosi cataloghi, in cui vengono riprodotte le quadricromie delle opere esposte; e ovviamente non può mancare una breve premessa introduttiva con relativa nota biografica.

Per tale bisogna a volte mi sono venuti in soccorso, con simpatia e affetto, tanti amici, dei quali ora non posso pretendere parole nuove, e poi,come già detto, la mia pittura non presenta chissà quali variazioni, anche se tra una mostra e l’altra passa un certo periodo di tempo in cui giocoforza ci deve pur essere un qualche “movimento”. Ma non sempre la critica nei suoi resoconti d’abitudine, se ne accorge.

A proposito, quand’ero alle prime armi,ci tenevo che fosse puntuale, pertinente, e ponzavo a ogni parola, assai contento se positiva e magari  costruttiva. Oggi assai meno,e mi chiedo se davvero è importante per un pittore o scultore. Debbo dire di sì, soprattutto se il critico in parola gode di prestigio e ha un buon rapporto con le istituzioni culturali, con le gallerie d’arte, con un certo mercato…Da notare però come il suo intervento si carica di notevole responsabilità,visto che non è facile giudicare un’arte che non ha più regole a cui obbedire. Inoltre è da tener presente anche l’altra critica, quella meno “ufficiale”: tantissime persone seguono con vera partecipazione il teatro, la musica, le cose dell’arte e della cultura e hanno sviluppato il senso dell’arte (anche se le sale sono pressoché vuote): si dispongono nei confronti dell’opera con criteri assolutamente nuovi rispetto ad anni fa. E il loro giudizio spesso determina considerazione e reputazione permanenti, ma pure disistime.

Da quarant’anni sento dire che la pittura è morta, che ormai tutto è “déjà vu”, ma io non credo sia così: accanto a tanta arte concettuale, alla Pop Art, agli assemblaggi, alla Business Arte, alle mille provocazioni, rispunta la pittura che non ha mai rotto con la Tradizione, piuttosto la rinnova.

Io penso che oggi noi tutti siamo i continuatori degli innovatori di ieri, e che la pretesa di molti artisti contemporanei di essere assolutamente originali o addirittura dissacratori, viene a cadere di fronte a  Duchamp che, negli anni dieci e venti dell’altro secolo, espose delle opere in cui erano già presenti tutti gli stereotipi formali cui oggi ricorrono tanti “creativi e installatori”.

Cinquant’anni dopo, nel 1960, perfino Warhol, genio del marketing, non ha più capacità di stupire, sconvolgere, piuttosto rende tributo al mercato e alle sue devastanti mistificazioni culturali. La confusione tra il prezzo e il valore di un’opera d’arte è una delle calamità culturali della nostra epoca (questo è il pensiero di tantissimi studiosi).

Se parlo per me, non ho paura della tradizione anche quando mi accosto al tema più banale, che, per quanto scontato, convenzionale, viene vivificato dal nostro spirito (che dovrebbe essere sempre vigile e pronto a innestarvi freschezza ed entusiasmo).

E’ giusto ed è un bene che gli artisti si siano impadroniti di ogni libertà immaginabile ed inimmaginabile: ciascuno ne prende quanta gli serve. A taluni ne basta poca, ne segnano i limiti entro i quali, secondo me, possono cercare la verità del loro “mondo” con risultati più autentici.

Ecco, io sono uno di questi, che coltiva il “suo campo” con amore, contento se anche domani sarò sul posto di lavoro.

 

Livio Rosignano