Arturo Manzano.
In trasferta a Udine la Trieste di Rosignano
Livio Rosignano espone a Udine 103 opere fra dipinti e disegni ( i dipinti sono una novantina e alcuni di dimensioni oggi raramente affrontate dal pittore fuori dai lavori di commissione ). E’ la più vasta personale tenuta dal pittore triestino e gliela consentono i locali quasi monacali del Centro Friulano Arti Plastiche, che, fra l’altro, hanno il pregio di un’architettura non antica, non di sicuro monumentale, ma articolata con archi e volte coniugati in spazi che sono un invito allo svolgersi di un lungo raccontare.
Penso che per Rosignano questi spazi, questi metri e metri di pareti, possono essere l’occasione di provare il fiato, appunto, per una lunga narrazione senza dimensioni e ripetizioni. La prova, mi pare, è riuscita e ciò è importante perché il lungo raccontare insiste su un solo tema a prima vista non ricco di avventure, non variato da episodi o da colori.
Il tema è Trieste, ma una certa Trieste che sta sotto quella che appare a chi la incontri soltanto nello stupendo paesaggio, nelle chiassose trattorie domenicali, nella riviera di Barcolla stipata di macchine, di giovinotti e di “mule” dai corpi prepotenti e abbronzati e dall’estro traboccante, vivo e pronto e smaliziato e aggressivo e magari impertinente e perfino sguaiato. A chi la incontri così, in una superficie verniciata di ottimismo, città di nodi mercantili e culturali di una mitica Mitteleuropea.
Invece purtroppo sotto quella vernice sta una realtà amara, il destino di una grande città civilissima umiliata da eventi avversi determinati, si, dalla fatalità della storia, ma anche dall’imprevidenza degli uomini. Non so se tutti consentiranno ch’io definisca Rosignano artista “impegnato”: mi pare che questo aggettivo sia stato catturato da quelli che con locuzioni semplicistiche e scoperte, e magari anche oratorie e anche violente, fanno la cronaca di avvenimenti in cui l’animo degli uomini, e più delle folle, esplode e irradia allo scoperto e le idee, o le fedi, irrompono dalle intimità e dilagano, e rumoreggiano sulle piazze in realtà esasperata, frastornante, comiziale. Certo Rosignano è altra cosa: non alza la voce e i suoi personaggi non dilagano sulle piazze. Ma l’impegno c’è, e come s’insinua fra le pieghe della privacy e, attraverso l’angoscia dei personaggi che si dilata nelle mezz’ombre di interni ed esterni rotte inaspettatamente da bagliori come i fuochi fatui, viene fuori, non la cronaca, ma l’anima della Trieste più vera e più fonda, non inondata dalla luce folgorante del golfo e non gioiosamente inghirlandata dagli erti pioppi di Roiano e di Scorcola, ma ancora tutta annidata nella parte Teresiana, come tenacemente legata ai luoghi del sorgere ed ingrandirsi dei due secoli del suo splendore.
Ed ecco i caffè che tanto hanno l’aria di un’epoca tramontata: i tavolini col piano di marmo che, allineati in rigide prospettive, affondano in ombre rassegnate; spesso sono soli e hanno un qualche cosa di tombale; qualche volta s’intravvede un’anziana signora o un anziano signore che legge il giornale, non perché sia coinvolto negli avvenimenti, ma perché non ha proprio altro da fare come quei popolani che forse sopravvivono alle pensioni degli istituti di previdenza e devono il bicchiere in piedi al bancone di osteria e in loro la malinconia ha qualche strappo di abbrutimento. E c’è il vento gelido sulle rive e sui moli, e gli uomini calano in fantasmi affondati nei baveri rialzati dei soprabiti. E ci sono i lampadari e i divani foderati di velluto di volta in volta, le bottiglie e i fiaschi avviliti nel vuoto e nel silenzio, le nature morte di tubetti di colori, di pannelli, di vasi, di barattoli, di cento cianfrusaglie davanti alla finestra dello studio di pittore dove si raccolgono le voci di una realtà segreta, gelosa, dolorosa e dove volti di uomini e nudi di giovani donne sono apparizioni in un’aria emblematica.
E la pittura, cioè i segni gli impasti, i toni, costruita, con calcoli sottili di raschiature, di ritorni con tocchi calibrati, con contrapposizioni di complementari, consonanze improvvise di caldi corposi su larghe stesure di veli, di freddi, ti dà alla fine pagine che veramente corrispondono all’evocazione è che veramente danno un corpo all’immaginazione, al sentimento, un corpo prezioso e vero.
Arturo Manzano.