Marianna Accerboni
“Dipingere il vento”
“Dipingere il vento” è la prima antologica realizzata dopo la scomparsa di Livio Rosignano, ritenuto uno dei pittori più rappresentativi del secondo Novecento a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia, assai apprezzato anche in sedi a livello nazionale e internazionale, dove aveva riscosso importanti riconoscimenti.
Livio Rosignano – scrive Marianna Accerboni – fu sempre molto sensibile, oltre che agli altri temi, alla rappresentazione del dato naturale, uno dei Leitmotiv della sua pittura, espresso soprattutto attraverso il paesaggio: vedute di mare e di terra, urbane, industriali o di campagna, presenti in magnifica forma a raccontare con intensità la sua terra natale, Trieste e il Carso. Paesaggi spesso mossi dal vento, i quali mi hanno suggerito il titolo dell’esposizione, che evoca anche il concetto di libertà molto vivo nell’arte e nel temperamento del pittore.
Autore di un linguaggio espressionista di grande forza e di sottile poesia, Rosignano ha mostrato anche una costante attenzione ai meno fortunati, quelli che lui chiamava i poveri cristi. La mostra – in cui sono esposti una settantina di importanti dipinti di media e grande dimensione e più di una quarantina tra disegni, acquerelli, acqueforti e pastelli realizzati dagli esordi degli anni Quaranta all’ultimo periodo della sua vita – vuole ripercorrere l’evoluzione del linguaggio pittorico dell’artista anche attraverso opere rare e inedite, testimoniando le diverse tematiche affrontate: dal paesaggio naturale, urbano e industriale al ritratto e alla natura morta, dall’atmosfera dell’atelier di Rosignano all’intimo sentire dell’uomo colto nel rapporto di coppia o nel silenzio umbratile dei caffè storici triestini o in alcuni momenti di struggente solitudine e malinconia. O ancora in attimi del quotidiano, che il pittore sa interpretare con magistrale intensità, talvolta con crudezza. Sono
esposte anche delle chicche introvabili come un nudo di grandi dimensioni e l’autoritratto giovanile, scorci d’interni, oli dedicati alla bora e ai caffè storici accanto a esempi del suo linguaggio chiarista, che aveva appreso a Milano, influenzato negli anni giovanili dal Chiarismo lombardo, che avrebbe indotto una svolta importante nel suo linguaggio, divenuto da allora più soft e meditato. Un dipinto di grande dimensione testimonia inoltre la tragica esperienza vissuta nel ’44 in un campo di lavoro a Dachau.
Le opere in mostra, selezionate dall’imponente produzione dell’artista, provengono dalla sua famiglia e dalla collezione dell’avv. Sergio Pacor, suo grande amico. Una sezione è dedicata all’amata tecnica del disegno. Nell’ambito della rassegna sono inoltre previste visite guidate e laboratori di pittura e fumetto ispirati alla sua arte e aperti ad adulti e bambini, per far divenire lo spazio espositivo una sorta di grande laboratorio dedicato a Rosignano. Viene inoltre istituito un premio di pittura con una sezione per adulti e una per bambini, intitolato Il paesaggio più bello del mondo.
In mostra viene proiettato anche un video che testimonierà la sua esistenza e il suo temperamento.
E poichè Rosignano, carattere estroso e molto vitale, è stato altresì colto critico d’arte e sapido scrittore e poeta, vengono esposti, oltre ai dipinti rappresentativi della sua lunga attività pittorica, anche i suoi libri e contributi critici accanto a foto d’epoca che ne ripercorrono le diverse fasi della vita.
Inaugurazione
sabato 11 giugno ore 19
Immagine in evidenza
Bora a Trieste, 1998 – olio su cartoncino telato – cm 13×18 (coll. Sergio Pacor Trieste) (part.)
Rosignano, nuove sensazioni colte tra mare, cielo e vento.
Un rinnovato Rosignano, ritornato sensibile interprete di atmosfere e di sensazioni, è in mostra fino a sabato alla galleria “Rettori Trebbio 2”. L’artista, nato vicino a Pola nel 1924, si ripropone al pubblico triestino con una rassegna monotematica, dipinta negli ultimi due anni e dedicata al mare, al cielo e al vento. Due bellissimi oli, ottenuti, come gli altri, attraverso molti passaggi e pazienti velature, sono protagonisti dell’esposizione. Uno, di grandi dimensioni, raccoglie tutta l’immagine di Barcolla – con fastelli di vele lungo l’orizzonte che rammentano la Barcolana – in una prospettiva forte, accesa, azzurra e al tempo stesso calibrata, come se una matura serenità ridasse nuovo slancio e ispirazione all’artista, ben noto per le fascinose atmosfere degli interni dei caffè triestini e delle osterie e per i ritratti. Meno conosciuto, invece, per delle prove pittoriche giovanili, realizzate fra il 1948 e il 1958, in cui il pittore faceva proprio, con un’accezione brillante e quasi fauve, un lessico vicino al neoimpressionismo tedesco, nel descrivere i paesaggi dei dintorni di Trieste, da San Giovanni a Montebello e a Servola, accesi da colori vivacissimi. Il post espressionismo scivolò, quindi, in Rosignano verso la predilezione per Bacon, ultima frangia dell’espressionismo europeo: ed ecco le figure umane straniate e solitarie, immerse o sorprese nella realtà urbana ingrigita e interrotta soltanto da qualche intenso intervento cromatico. Un rapporto tonale che ritroviamo oggi nella mostra triestina, in particolare nella tela che descrive la sacchetta, dove rapide pennellate rosse e arancio rallegrano il silenzio immobile del mare, del cielo e dei gabbiani. Una sequenza di opere di formato minore ripropone con uguale, intensa sensibilità lo stesso tema atmosferico animato da personaggi silenziosi e spesso appartati, che ancora ci fanno pensare a Bacon. Vi incontriamo le molteplici variazioni tonali che travolgono per effetto del vento e della pioggia i nostri squeri, i moli e il lungomare: un incalzare di grigi e di azzurri, appena rischiarati a volte dalle luci dell’alba e del tramonto. Che Rosignano realizza tutti a memoria perché, afferma l’autore, “come è accaduto anche per i ritratti di mio padre e di mia madre, dipinti molti anni dopo la loro scomparsa, solo attraverso il ricordo, traspare la vera essenza di un volto o di un passaggio.
Marianna Accerboni
Livio Rosignano:<< L’arte, estasi e anche medicina>>
Visibili opere dal’ 48 agli anni ’60:
<<Ero giovane e dipingevo tre o quattro volte la stessa tela>>
Spirito brillante e sagace, estroso e razionale al tempo stesso, il pittore triestino Livio Rosignano compie nel 2004 ottant’anni e li festeggia con una mostra personale che s’inaugura oggi a Muggia, in cui presenta quasi una quarantina di oli appartenenti alla sua prima maniera, cromaticamente più accesa. Meno nota della produzione successiva, tale impostazione stilistica si potrebbe definire di ‘ispirazione fauve e s’intreccia con il temperamento impetuoso dell’artista, il cui aspetto più riflessivo si esplica invece nei decenni seguenti, grazie alle marine brumose ed intimiste, ai moli percorsi dalla bora e agli interni di caffè densi d’atmosfera, di pensieri e di stati d’animo: un linguaggio che, pur nella sua assoluta autenticità ed autonomia, condivide l’orientamento del neoimpressionismo di Matisse e Gauguin e dell’ultima frangia dell’espressionismo europeo, rappresentata da Francio Bacon.
Come ci si sente a ottant’anni?
A seconda del momento: a volte meravigliosamente bene come a trenta, a volte sento la mia età. Sono in una condizione felice perché, vado a lavorare ogni giorno volentieri, anche alle sei di mattina: questa è la chiave della felicità>>.
Quindi l’arte come medicina…
<< Si, ma anche come tormento ed estasi. La pittura è anche tormento, però ci sono momenti in cui i sacrifici si riscattano pienamente >>.
Qual è oggi il bilancio della sua vita?
<< Positivo, nonostante gli inizi, in cui ho combattuto con la miseria. Poi, a 19 anni sono stato a Dachau, dove ho imparato a prendere la vita con un certo disincanto, cercando nel contempo di viverla pienamente>>.
Lei ha raccontato quest’esperienza nel romanzo intitolati <<Una giovane vita>>, che ha scritto nel 93…
<< Non sono uno scrittore ma scrivere mi diverte – a suo tempo mi occupai anche di cronaca e critica d’arte per varie testate – così come mi piace leggere. Talvolta devo obbligarmi a lasciare la lettura perché sono un pittore, la mia vita è il colore, è il pennello… ma è piena di insidie, che fanno diventare dispersivi, generando anche malinconia e notevoli disagi.
Perciò bisogna proseguire lungo la strada che noi abbiamo tracciata nell’intimo
Lei ha al suo attivo un centinaio di rassegne personali e circa 300 collettive, ha prodotto moltissime opere, tra cui 15.000 disegni e schizzi. Perché ha scelto di esporre in questa mostra le opere degli esordi?
<<Ho rispolverato il periodo che va dagli anni 48 ai 60, che soddisfa il mio istintivo amore per il colore. Allora ero giovane e dipingevo tre o quattro volte la stessa tela, anche da una parte e dall’altra. Per mancanza di mezzi usavo solo il verde, il giallo e il rosso e, accostandovi il nero, componevo tutti i colori>>.
L’accentuato cromatismo che incontriamo in mostra si lega anche alla sua esperienza con i pittori Adolfo Levier, Vittorio Bergagna e Romano Rossigni?
<<Erano tutti coloristi: il primo, cui mi sentivo più vicino per il temperamento esuberante, era un espressionista fauve, il secondo con il quale nei primi anni 50, alla morte di Rossigni, condivisi lo studio – un intimista. L’atelier era molto ben frequentato e ciò fu molto importante per la mia formazione, che avvenne anche grazie alla frequentazione dei corsi di nudo tenuti da Edgardo Sambo al “rivoltella”>>.
Negli anni ’50 e ’60 lei è vissuto a periodi alterni a Milano: con quali esiti?
<<La scuola lombarda m’indusse ad attenuare quella vivacità coloristica che non sempre risultava funzionale alla mia pittura; Gli interni di caffè, un po’umbratili e tristi, nascono appunto intorno al 60, ma non posso soffocare questo desiderio di urlare con il colore, che ogni tanto riaffiora in me. Mentre l’umanità dolente, che traspare ogni tanto nei miei quadri, nasce dalla malinconia che m’instillò mio padre, da cui mi sono liberato solo dopo molto grazie anche a un pizzico di follia.
Marianna Acerboni