Come si diventa pittore

 

Come si diventa pittore, o meglio, come avviene che se ne intraprende la strada, è la domanda che più di una volta mi sento rivolgere.La risposta non è facile, ma tenterò di darla, anche per me stesso. Potrei dire che, fin da ragazzo, ho disegnato su ogni pezzetto di carta che mi trovavo fra le mani; che, giovanetto, incominciai a ritrarre i volti dei famigliari e degli amici, e che “studiavo” il  colore del paesaggio e la forma di un albero. La buona disposizione al disegno e alla riflessione, in qualche modo mi allontanarono, fin d’allora, dalla realtà più spicciola e materiale.

Tale atteggiamento era come di attesa, per qualcosa che dentro di me doveva prima o poi chiarirsi; ed io stesso ne fui meravigliato, sorpreso, quando, da un giorno all’altro si può dire, decisi di diventare pittore, pittore senza compromessi, cioè allo sbaraglio, senza una base solida a cui appoggiarsi.

Nell’impeto sconsiderato, giovanile, che non ammette voci interlocutorie. Attaccai  a lavorare con foga. I tempi di allora (la guerra appena conclusa, ed io con poco più di vent’anni, essendo nato nel 24), non permettevano gran che, ed i giorni erano grami davvero. Per fortuna avevo un padre che in qualche modo riusciva a mantenermi e, quel che più conta, comprendermi.

Spesso al pittore viene chiesto perché dipinge quel determinato soggetto. Ammettiamolo francamente, non è una domanda brillante. Per esempio, se io dipingo i caffè, sarà perché ci vado spesso, perché mi ci trovo bene e ne subisco il fascino. (la mitelleuropa, Svevo, Saba, Slataper, una volta lasciamoli stare, che proprio non c’entrano). Se dipingo gli uomini nelle bettole e per la strada, oppure le donne che vanno a fare la spesa con la borsa di plastica, è perché li vedo e mi par di comprenderli, di conoscerli nei loro problemi. Gli uomini e le sue cose che ci circondano, secondo me, sono il veicolo più certo che può condurre alla poesia. Trascurare il metro con cui ci misuriamo e le cose in cui ci ritroviamo, per me è una bestemmia. Non dimentichiamo, inoltre, che basta l’accento sincero, la partecipazione più totale, per riscattare, non fosse altro che sul piano della dignità, anche il tema più banale.

Per concludere, dirò che mi sarebbe tanto piaciuto vivere in una capitale dell’arte, per gli stimoli che le grandi manifestazioni sanno suscitare, e per poter di continuo misurarmi. Trieste non ha tutto ciò; ma è la nostra città e non se ne può fare a meno.

 

Livio Rosignano.