Degli artisti triestini di recente leva Livio Rosignano è dei più seri e “ responsabili “. Non prende l’arte come un passatempo intellettuale, ma impegna in essa tutta la sua umanità. Ciò spiega il suo rapido successo. Successo, naturalmente e disgraziatamente troppo più di stima che di danaro. Ma di ciò egli non sembra prendere nota, ne risentirsene. Per la pittura si possono anche fare i sacrifici più duri, quando il dipingere sia la nostra maniera di essere uomini. Del resto ciò che distingue Rosignano dai giovani che hanno debuttato con lui (circa sei anni fa) è che nemmeno allora, benché assai giovane, egli era un ragazzo. E la sua scelta è stata deliberata e responsabile, sapendo bene ciò che costi il seguire fino in fondo la strada prescelta e quali fossero le soddisfazioni che se ne potevano attendere.

Non aveva una scuola allora eppure le sue cose s’imposero subito, e si fecero notare perché rivelavano l’urgenza di un mondo suo che riusciva bene o male a venir fuori e ad “esprimersi”. Da allora egli ha fatto molta strada. Ma non si è imbarcato in avventure, non ha fatto concessioni alla moda del giorno, non ha dato luogo a quelle improvvise conversioni, a quegli sconcertanti voltafaccia, cui spesso ci tocca di assistere e che passano per “crisi”, mentre spesso sono indice di non altro che di leggerezza.
Ciò non di meno Rosignano studia sempre con l’impegno e con la modestia di un principiante. Non ritiene di avere più niente da imparare. Si perfeziona nel disegno, di nudo soprattutto.
La sua pittura non appartiene a nessuna tendenza conclamata: egli non segue programmi che sieno prisma della pittura a cui si richiedano delle ricette buone a qualsiasi evenienza. Per la qualità dei suoi interessi si potrebbe tuttavia dir neorealista, se il neorealismo non fosse un’etichetta che copre spesso merce adulterata, in cui affiorano in primo piano interessi non artistici né umanistici, ma politici e però pratici.

Ora l’artista espone una ricca serie di disegno che rappresentano inquadrature delle strade, delle piazze e delle cose della città, delle rive, del porto dove gli uomini lavorano o riposano o si ricreano in una contemplazione assorta degli aspetti del visibile. Perciò questi disegni sono carichi do “atmosfera”, intesa tuttavia come temperie piuttosto sentimentale che non meteorologico.
Perché Rosignano non è un illustratore, ma un osservatore partecipe della vicenda umana. E questa sua disposizione non contrasta e non sfugge allo stile. Non mancano in questi disegni molte preziose indicazioni di un gusto maturo e coerente per la composizione così di ritmi grafici, come di variazioni chiaroscurali. Solo che la “variazione” su un tema di ritmi lineari risentiti o di contrappunti pausati di bianco e di nero, non diventa mai gratuita o fine a se stessa.

Non staremo a esemplificare o a tirar fuori quattro o cinque pezzi da una rassegna che tocca su per giù la quarantina, dei quali non ve né alcuno che non nasca da un’autentica esigenza, da una commozione sincera. Possiamo ricordare genericamente il gruppo delle vedute di “Cittàvecchia”, così magicamente evocative di un modo di vivere misero, ma non squallido, per chi abbia occhi di guardarsi in giro e sappia sentirne la raccolta intimità; potremo ricordare i suoi gruppi di operai al lavoro o all’aperto o all’osteria, colti con una pronta e sintetica caratterizzazione dei tipi umani e del loro modo di essere “nell’ambiente”, e potremo ricordare certe più decise “architetture” di scale, di carretti, di rimorchiatori, dove il fattore “uomo” sembra passare in seconda linea ed è pur sempre il protagonista, anche se materialmente non vi si veda. Ma più che queste indicazioni generiche non sapremmo dare: sono cose che non si possono definire a parole. Anzi talora, nell’impianto del singolo disegno, una analisi stilistica troppo pedante potrebbe rilevare qualche squilibrio, qualche manchevolezza, con il rischio di far dimenticare il fatto più importante che si tratta cioè di opere “vive”. Ciò che tutti vedono con i propri occhi senza bisogno di suggerimenti altrui. Purché, naturalmente, si rechino a dare un’occhiata alla “Casanova”.

Decio Gioseffi


 

Rosignano, che appare il più maturo tra i giovani artisti delle ultime leve, è apparso in pubblico per la prima volta non molti anni fa, ma da allora è andato costantemente avanti, riuscendo a ottenere nell’ultimo biennio lusinghieri riconoscimenti anche in campo nazionale. La sua pittura non ha subito quelle oscillazioni e crisi, tipiche della maggioranza dei giovani, che appena vengono a conoscenza di un’esperienza prima ignorata, subito si convertono a quella e spregiano la maniera fino allora tenuta. Rosignano ha esordito con una pittura largamente postimpressionistica, ma in un’accezione del postimpressionismo meno volta a compiacenze e raffinatezze decorative e più tesa a cogliere il significato umano di ciò che egli ha scelto, ciascuna volta, di rappresentare.

Quando Rosignano dipinge un paesaggio intende dipingere proprio quel paesaggio, e secondo che i tetti rossi o uno steccato di legno o una parete bianca, hanno colpito la sua fantasia, egli compone con questi elementi vorrei dire quasi un “ritratto” di quel paesaggio. E’ anche dei pochi ritrattisti di uomini, tra i giovani d’oggi, e il modello non gli è indifferente; cerca anzi di penetrarne le caratteristiche umane e morali più che i  semplici tratti fisionomici. Va da sé che il ritratto è un campo pericoloso ed è difficile sottrarsi alla suggestione del reale e perciò anche quelli presenti in questa mostra presentano delle differenze di stile e di tono. La misura che l’artista può dare in questo campo è data dal ritratto di Titz e dalle due “donne al bar” di una pungente e spiccata evidenza quale avrebbe potuto avere, con tutti altri mazzi un quadro, di Toulouse – Lautrec.

Decio Gioseffi

Dal Piccolo del novembre 1952


Agosto 1995

Caro Rosignano,

ho sempre molto apprezzato la tua pittura e molto i tuoi disegni. Non posso perciò in quest’occasione, date le molte volte che m’è capitato di scrivere di te e dell’opera tua, stilare una presentazione del turro nuova per una mostra antologica che allinei opere di vari tempi e momenti.

Piuttosto una parola di amicizia, un saluto e un augurio. Tu sei di quegli artisti che non considerano la pittura e il disegno solo mestiere o solo tecnica. E’ umanità, pensiero, poesia. Ed è perciò anche mestiere (e anche amore per il mestiere). Così puoi fare le cose che ora fai, che riprendono e riassumono la tua attività precedente secondo formulazioni rigorose e connesse con le avanguardie del passato e del presente: fino all’astrazione e alla decorazione, he restano dopotutto i valori fondamentali della pittura. Non posso che confermare, quanto ho scritto in anni passati sulla serietà del tuo impegno e sulla tua capacità di stare con i tempi e di rinnovarti senza perdere l’anima.

Avevo visto giusto in sostanza anche quando ho esaminato per la prima volta una serie antologica (ma organica) di quadri e disegni relativa alle successive tappe del tuo percorso “critico” fino alla maturità indiscussa degli anni 60. Gli stralci delle mie recensioni alle tue “personali” del 1958 e 1960 potranno confermarlo a chiunque avrà la pazienza di andarseli a rileggere.

Con affetto e stima immutate

Tuo Decio Gioseffi