La Mostra di Livio Rosignano alla Gallera Tribbio di Trieste – Novembre 2010

Sulla pittura di Livio Rosignano molto è stato scritto, nel corso della sua lunga carriera, da critici, storici dell’ arte, letterati e uomini di cultura. Aggiungere a quelle pagine, belle e autorevoli, un ulteriore contributo alla comprensione della poetica e all’ indagine sulla ricerca artistica e, al tempo stesso umana dell’artista, sarebbe un esercizio, da parte mia, privo di senso, se non addirittura sconsiderato. Eppure, la mostra di Rosignano in corso alla Galleria Tribbio, merita un commento. Perché le opere esposte, tutte recentissime e inedite, pur senza nulla cambiare riguardo alla sostanza e al significato specifico del lavoro di Rosignano nel generale fluire della pittura italiana negli ultimi sessant’anni, ugualmente sono testimonianza della capacità, tipica dell’arte, di rigenerare se stessa. E insieme rendono visibile il prodigio che talvolta si compie all’ interno dell’ esistenza di un artista che, giunto nel tratto finale della propria esperienza, riesce ancora a stupire, a meravigliare. In questo caso, anche a mettere in campo, attraverso le proprie opere, un’onda di energia fisica, spirituale e artistica, travolgente, come avviene per i grandi artisti giunti all’apice della maturità. Questo fenomeno, molto raro in altri ambiti della creatività umana, nell’arte si manifesta con maggiore frequenza. Per rimanere nel campo della pittura, vale la pena di ricordare, per tutti, Tiziano, Goya, Monet: tutti artisti che in tarda età ebbero la lucidità, l ? intuizione e l’ energia vitale per realizzare, dopo aver tanto prodotto, le opere culminanti della loro intera carriera. Opere che rivelano la capacità di questi artisti di cogliere e fare propri i fermenti di una nuova sensibilità espressiva e che la prospettiva storica indicherà come un’esperienza anticipatrice di un nuovo linguaggio dell’ arte. Nel caso di Rosignano, non so se le opere esposte in questa mostra già contengano i germi di una nuova figurazione. Costruita, forse, intorno al trinomio formato da essenzialità, dettaglio e valore segnico. Vedremo più in là, quando Rosignano avrà portato questa nuova esperienza alle sue estreme conseguenze. Fin d’ora, però, va sottolineata la mutazione, rispetto alla produzione degli anni „80/90, avvenuta nel sua universo pittorico. Apparentemente celata da una tecnica fortemente ancorata alla migliore tradizione e rimasta, quella sì, immutata – una tecnica, occorre dirlo, di squisita fattura, in cui le pennellate si sovrappongono quasi ad imitare un processo interno di focalizzazione dei sentimenti – dietro questo apparire stabile, il mondo di Rosignano, come rappresentazione di una realtà e di un vissuto personale, è cambiato. L’ atmosfera è diversa, è diverso il tessuto emotivo, è diversa l’ angolazione soggettiva, è diverso e più alto il tono della liricità. Le occasioni offerte dal quotidiano scorrere della vita, i luoghi, le cose, le umane esistenze, non hanno mutato la loro funzione, e permangono oggetti di un’ indagine incessante ed insistente rivolta a scoprire la poesia in essi racchiusa. E’ mutata, invece, l’ indole soggettiva di questa ricerca, che il Maestro conduce con grande delicatezza, quasi temesse il pericolo – questione aperta nelle scienze fisiche – che, la rappresentazione, nell’ azione del dipingere, alteri il valore sensibile dell’oggetto rappresentato. Soprattutto, sembra essere mutata, in queste ultime opere di Rosignano, la premessa spirituale che ne è la fonte. La sua pittura è sempre stata fortemente introspettiva. Lo è ancora? Oppure, l’ intervista di Rosignano con sé stesso, durata più di cinquant’ anni, con questa mostra, è terminata? Sono propenso a dire di sì; nel senso che l’ analisi interiore, così come la conoscevamo – quasi chirurgica – è superata. E ciò che ne resta è posizionato su un piano diverso e più alto. In fondo, è lui a confermarlo quando ci dice: Non devo dimostrare più nulla. Per comprendere la portata, il significato e, probabilmente, le conseguenze di questa personale alla Tribbio, riguardo si futuri sviluppi della pittura di Rosignano, occorre partire proprio da questa affermazione. Sul piano artistico, essa equivale a dichiarare la propensione a spersonalizzare il rapporto con la propria opera e il proprio percorso artistico. Di cui, beninteso, ha piena coscienza. Ma il ruolo che il palcoscenico dell’ arte gli riserva non lo appassiona. Rosignano, nulla dovendo più dimostrare, si sente libero di sviluppare la pittura come più ama. Senza incertezze, perché la libertà che si concede non intacca la responsabilità che il destino gli ha assegnato, volendolo pittore. Responsabilità che ogni artista deve avere verso sé stesso e gli altri e che in Rosignano è, di tutta evidenza, un sentire profondo. Sul piano umano, il non dover dimostrare più nulla dimostra che l’età, per Rosignano, non è un ostacolo, ma semmai, a livello psicologico, un autentico stimolo. A fare, produrre, creare. Il prodigio di questa mostra scaturisce proprio da questa nuova condizione spirituale, all’ interno della quale l’artista si placa e si concilia con l’ uomo, e l’ uomo con il filosofo. Ne discende uno stato di grazia, artistico e umano, che pervade le opere in mostra e che rende, autenticamente, visibile un senso – si può dire fragoroso? – di libertà: genuina, profonda, avvincente, coinvolgente. Rosignano, nel punto più alto della coscienza di se stesso, reclama e ritrova, per sé e per la propria pittura, una libertà a tutto campo. Libertà artistica e, allo stesso tempo, esistenziale. La memoria del passato rimane. Cedono, invece, i vincoli, i lacci con ciò che sta alle spalle. Cambiano la prospettiva e le premesse dell’ elaborazione creativa. Più che di un rinnovamento, si può parlare di una vera e propria rigenerazione, ossia di una rinascita che tutto rimette in discussione. Qui non siamo di fronte ad un ripensamento o ad un voltar pagina come accade quando la storia di un pittore prende – spesso – una strada diversa. Lungi dal palesare una discontinuità con il passato le opere di questa mostra ne sono la naturale evoluzione, cui l’ artista, insieme con il poeta e il filosofo, è giunto grazie ad un più avanzato equilibrio tra l’ urgenza espressiva e la riflessione sulla realtà rappresentata. Per comprendere il carattere innovativo di queste opere e dar loro la giusta collocazione all? interno del percorso artistico e umano di Rosignano, occorre prendere cognizione, innanzi tutto, del cambiamento intervenuto nella sensibilità dell’ artista riguardo al rapporto tra interiorità e rappresentazione. Nel passato, questi due elementi, che entrano in gioco e si fanno sentire come presenze immanenti durante l’ intero processo creativo, tendevano a confondersi. O meglio, a fondersi in un amalgama di alto impatto emotivo. La condizione di Rosignano, alle prese con il proprio lavoro, oggi, è diversa. Tra interiorità e rappresentazione, s’ insinua, si frappone, si fa mediatore – con grande delicatezza – il Distacco. Così l’artista, in questa nuova fase, domina la pittura, da cima a fondo, senza più esserne dominato. La pittura si semplifica e si fa luminosa, come la ragazza che Rosignano- nelle vesti quasi d’ un regista – riprende mentre risale dalle viscere della città verso la luce: autentica metafora della (sua) rigenerazione. Anche la riflessione sulla condizione umana, tema irrinunciabile della sua poetica, assume un tono più distaccato, più delicato, perfino soave; cosicché scena e personaggi, meno gravati dal peso dell’ introspezione, tendono a smaterializzarsi. A questo punto l’ opera si presta ad una duplice lettura. Perché, ciò che affonda le radici negli episodi del quotidiano, del quotidiano diventa icona. Esemplificativa, da questo punto di vista, è la tela dei due personaggi ritratti sullo sfondo buio di un’ officina, parzialmente celata da una serranda: non una scena, a mio giudizio, colta per descrivere una situazione di vita contigua alla propria sensibilità rivolta alla gente comune, quanto piuttosto, una messa-in-scena concepita per evocare l’ esistenza di un parallelismo ideale tra i gesti e le piccole cose del lavoro in officina e quelli che popolano la “bottega” del pittore. Non meno interessante, dal punto di vista della rigenerazione espressiva, è la trattazione di certe scene d’ interno. Stabilito un nuovo equilibrio tra espressione ed emozione, è venuta meno l’ esigenza, che il pittore nel passato sentiva impellente, di proiettarsi all’ interno della scena stessa, come una presenza invisibile nella forma, eppure intuibile nell’ atmosfera, spesso dolente, sfatta. Nel rappresentare un tavolo ancora imbandito con i resti di un convivio, Rosignano, oggi, si mantiene ad una certa distanza dalla scena e non interferisce con essa, perché, diversamente dal passato, il suo interesse è meno concentrato sul rapporto personale con la realtà, ed è invece, maggiormente indirizzato alla rappresentazione del concetto che si cela nel tessuto dell’ osservato. Ecco allora che quella tavola imbandita non descrive il ricordo di una serata, bensì l’ idea stessa del ricordo e l’ emozione del ricordare. Intesa, questa funzione della mente – nel contesto del quadro – in modo ovviamente letterario e poetico, come la misteriosa capacità della memoria di estrarre, dal buio dell’ oblio, vive, cristalline, colorate, odorose immagini del vissuto. Non solo. La distanza che il pittore s’ è dato rispetto all’ oggetto del quotidiano e alla conseguente rarefazione dei connotati sentimentali in questa rinnovata pittura si spingono più oltre, fino ad offrire allo spettatore, qua e là, spunti di autentica ironia. Trattata con grazia, ad esempio, nel quadro con tre personaggi allo sportello del pubblico, oppure, con maggiore evidenza e con una vena più sapida, nelle figure delle giovani prostitute. Rosignano utilizza l’ ironia non a caso, vale a dire non per descrivere una situazione in sé ironica, bensì per sottolineare l? aspetto soggettivo che lo riguarda: la raggiunta libertà da ogni condizionamento, in primo luogo, interiore. E tanto gli preme dare rilievo a questa sua nuova e, sul piano concettuale, più alta condizione artistica che, nell’ ironia, si spinge oltre fino canzonare sé stesso. Così Rosignano si ritrae nell’ atto di compiere un balzo sopra una pozzanghera. O addirittura, si esibisce come patriota nell’ atto di marciare, in una fantasiosa posa simile a un passo di danza sospeso nell’ aria, dal sapore fiabesco e quasi Chagalliano. Sorprendentemente, questa pittura che pur rimanendo attenta al quotidiano, e al suo palpabile universo di persone e cose, se ne distanzia per non esserne emotivamente sopraffatta, anziché risultare meno coinvolgente, acquista un respiro ed un’ampiezza che conducono l’ osservatore oltre la scene rappresentate, oltre i confini stessi del quadro. L’ opera, nel momento in cui non ha più il compito di veicolare blocchi emozionali che scaturiscono da un’ osservazione tutta interiore della realtà, subisce una radicale metamorfosi. Perdendo parte della sua oggettività, quella che le deriva dall’ essere l’obiettivo di una specifica esigenza espressiva, l opera assume il ruolo di uno strumento con il quale rendere visibile l essenza profonda e immateriale della rappresentazione in essa contenuta. In questo modo, la figurazione non si esaurisce in sé stessa, ma annuncia il coesistere, al proprio interno, di un livello interpretativo più alto, propriamente astratto e concettuale. All’ osservatore la scelta: il visibile o l’ intuibile; l’appagamento o l’ inquietudine. E’ del tutto singolare che questa nuova e più complessa fase della pittura di Rosignano abbia preso forma, diversamente da quanto accade in simili circostanze, senza comportare alcuna modifica della tecnica pittorica. Ciò è dovuto al fatto che Rosignano domina gli strumenti del proprio lavoro quanto il musicista i tasti del pianoforte. Oltre a ciò, nonostante l’ età non più giovanile, la sua pennellata rimane fresca, sicura, sincera. E poiché sa anche essere pacata, quando occorre, e delicata e scrupolosa nel dettaglio, ben si destreggia in questa nuova e rigenerata stagione in cui occorre mettere la figurazione a nudo, perché si possa scoprire cosa essa nasconde. La pittura di Rosignano, che a prima vista ci è sempre apparsa come un corpo omogeneo e unitario, dal movimento lineare, dopo questa personale alla Tribbio, rivela la sua vera natura: un sistema binario in cui la tradizione e la modernità ruotano intorno ad un nucleo che sprigiona un’ intensa forza coesiva. Per comprendere questo sistema pittorico divenuto complesso e oscillante, occorre riprendere la frase del Maestro riportata agli inizi: non ho più nulla da dimostrare. E allora tornano alla mente e ben si adattano alla situazione – salvo sostituire lo scrittore, e il suo lessico, con il pittore – le parole di J. Luis Borges, quando, nel ?99 ha detto: Credo che ogni scrittore debba abbandonarsi al piacere di sognare e di scrivere. Per quanto azzardato, forse la massima felicità è la lettura. Altri rimpiangono i libri che non hanno scritto. Io rimpiango i libri che non ho letto.

Piero Toresella